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VAE VICTIS: CRONACA DI UNA BATTAGLIA A BARCELLONA
Articolo pubblicato su Brescia Anticapitalista

Data: 1 marzo 2025Author: Brescia Anticapitalista0 Commenti
«I vinti attendono da noi non solo la rammemorazione del loro dolore, ma anche la riparazione delle ingiustizie passate e il compimento della loro utopia sociale. Un patto segreto ci lega a loro e non ci si può liberare facilmente della loro richiesta, se si vuol restare fedeli al materialismo storico, ossia a una versione della storia come lotta permanente tra gli oppressi e gli oppressori». «Siamo stati attesi sulla terra» per salvare i vinti dall’oblio, ma anche «per continuare la loro lotta di emancipazione »
Walter Benjamin
Queste due bellissime frasi del filosofo tedesco (vittima anche lui, seppur indiretta, della guerra civile spagnola)* potrebbero benissimo essere poste come prefazione al libro di Rolando D’Alessandro, VAE VICTIS, pubblicato in questi giorni a Barcellona. In questo bel libro, con la brillante scrittura a cui ci ha abituato il compagno italo-catalano (che i nostri lettori conoscono sia per alcuni articoli sul nostro blog sia per il libro – Il fantasma dell’islamofobia – che abbiamo pubblicato a puntate l’anno scorso), Rolando ci racconta dettagliatamente le vicende della battaglia, iniziata 15 anni fa a Barcellona, per cercare di “far pagare” allo stato italiano (nato dalla Resistenza, antifascista e bla bla….) il vergognoso “contributo” del fascismo italiano (in termini di aerei, navi, bombe, uomini, denaro, ecc.) alla vittoria del franchismo nella guerra civile del 1936-39, prodromo della Seconda Guerra Mondiale. L’amara ricostruzione di questa battaglia, iniziata da un gruppo di antifascisti italiani residenti nella capitale catalana (tra cui il sottoscritto) e di cui si è parlato abbastanza spesso anche in questo blog, sostenuta dal gruppo che, all’interno dell’allora “Altraitalia“, si era costituito come “Altramemoria” e proseguita poi come campagna “Bombe contro l’impunità“, vi è raccontata con dovizia di particolari e con una certa dose di necessaria ironia (si ride per non piangere, no?). Si parte dalla denuncia penale dello Stato Italiano portata a Madrid 15 anni fa, con la prevedibile negazione del tribunale madrileno, passando per le speranze sorte in seguito all’accettazione della denuncia da parte del tribunale di Barcellona e all’appoggio (più simbolico che concreto) da parte della nuova amministrazione di sinistra guidata da Ada Colau nel 2015, fino alle ripetute delusioni di fronte al vero e proprio “muro di gomma” fatto di silenzi, sottovalutazioni, intoppi burocratici, veri e propri boicottaggi messi in atto non solo, come ci si aspettava, dalle “autorità” spagnole ed italiane (in primis il ministero italiano della difesa), ma, ovviamente (e come dubitarne?), dai mass-media locali, spagnoli ed italiani. L’autore non si sorprende certo dell’ostilità della destra spagnola ed italiana. E nemmeno più di tanto della sostanziale indifferenza (mascherata spesso da un sorriso e una pacca sulla spalla) della sinistra istituzionale (PSC-PSOE, ERC e ICV in testa). Molto più amara è l’esperienza con quella che dovrebbe essere la parte più interessata, per ovvi motivi politici ed etici, a dare risalto a questa vicenda. E cioè la cosiddetta sinistra “radicale”, sia inserita nelle istituzioni (come Podemos-Comuns o la CUP) che esterna alle stesse (dagli anarchici ai vari gruppi marxisti o ai centri sociali). Che, sostanzialmente, al di là di alcune positive eccezioni, non si è differenziata troppo dall’atteggiamento della sinistra moderata, pur esprimendo a parole un grande apprezzamento per il faticoso lavoro svolto da un pugno di militanti. Il racconto del progressivo esaurirsi delle speranze di ottenere giustizia (sia da parte dei due sopravvissuti ai bombardamenti italiani, “titolari” della denuncia, sia da parte dei compagni italiani che si erano assunti il compito di organizzare questa lunga campagna politico-giuridica) non può che creare amarezza in quei pochi che hanno continuato per un quindicennio a farsi carico di incontri, dibattiti, conferenze stampa, ricerche storiche, ecc., con la crescente sensazione di essere “vox clamantis in deserto“. Ma è un’amarezza attenuata dalla consapevolezza di essersi battuti nel senso che intendeva Benjamin, per salvare certo i vinti dall’oblio, ma soprattutto per continuare la loro lotta per l’emancipazione.
Flavio Guidi
*Durante la sua fuga dalla Francia occupata (Benjamin, oltre che comunista, era anche ebreo), riuscì a entrare, nel 1940, nella Spagna franchista, con l’obbiettivo di imbarcarsi per gli USA, dove lo attendevano gli amici della “Scuola di Francoforte”. A Port Bou, appena al di là del confine franco-spagnolo, il 26 settembre, dopo che la polizia spagnola gli ha ritirato il visto di transito, attendendosi l’arresto e la consegna ai nazisti, si suicida.